mercoledì 6 dicembre 2017

Ricordando Vittorio Gassman

Quarto appuntamento con "Ricordando ...", la serie di post dedicati ai grandi del teatro italiano. 

Questa è la volta di uno degli attori più ricordati e famosi non solo da chi lo ha conosciuto da giovane ma anche dalle generazioni attuali! Ecco infatti tre domande (e anche in questo caso una quarta da leggere assolutamente) rivolte a Vittorio Gassman.
La caratteristica di questo attore che ha emozionato molti è senza dubbio la sua poliedricità dimostrata da una carriera che spazia dal dramma al comico, dal teatro al cinema, dai palcoscenici alle telecamere ... La sua intensità, espressività e presenza scenica lo hanno reso appunto immortale, immortale nel senso che ancor quanto ha fatto viene preso da riferimento nel  mondo del teatro!



(da un'intervista di Gassman con Enzo Biagi)

Se dovesse raccontare a qualcuno chi è Vittorio Gassman che cosa direbbe?
Cominciamo male. Domanda difficilissima. 
Intanto, un attore. Nel senso pieno. Questa qualifica ha influenzato decisamente la mia vita. Se dovessi aggiungere degli aggettivi positivi: efficiente, e forse anche bravo. Negativi: non proprio pavido, ma neppure intrepido.
Tornando al discorso dell'attore aggiungerei che sono in questo mestiere da tanto tempo: la mia pelle si è fatta quella del rinoceronte. Dico questo per dire che ci si abitua alle critiche troppo buone, e alle stroncature, all'usura dell’attenzione del pubblico. È vero che l’uomo pian piano si indurisce, diventa, ecco, un cinghiale. L’età dà grandi spessori, si è un pochino più pazienti, più comprensivi, più rigorosi, e soprattutto si assaporano più cose, con una punta forte di dolore, e un po’ di paura.

A che cosa pensa di dovere il suo successo?
Io riconosco anche di aver avuto una certa dose di fortuna. Poi si possono fare delle azioni che facilitano l’avvento del successo, già lì comincia un po’ il merito. Io credo che come merito, di annoverare la forza di volontà, un po’ discontinua, un po’ rabbiosa. Anche i miei nemici più cari me l’hanno sempre riconosciuta, quello che in gergo sportivo si chiama la grinta. Poi la fortuna di appartenere a questa generazione dei nati tra le due guerre, perché è stata ricca delle sollecitazioni necessarie per imboccare la strada. Io non ho mai, proprio perché non considero il mio un grande destino, sperato di scavare un lungo pozzo cento metri, ma tanti pozzi di cinque, sei, otto metri, queste occasioni è stata la nostra generazione a darmele.

Quando ha cominciato, lei ha scritto, che non aveva pietà né di sé né degli altri. Ricorda qualche colpa?

Qualche crudeltà. Non credo di essere cattivo, ma un po’ feroce, maniaco, con sfumature di pedanteria . Il gusto matematico, simmetrico dell’esistenza, si traduce in una furia, anche verso di me. Duro con tutti, ma anch'io sto alla pari. Come direttore, come capocomico, divento anche violento. Più volte ho oltrepassato i limiti giusti. Quando recitavo il Peer Gynt di Henrik Ibsen, mollai una seggiola su una spalla di Vivi Gioi; durante una prova dell’Adelchi presi a sassate le comparse, che non si muovevano come volevo.
Anche perché diciamolo: a qualcuno io risulto insopportabile. Penso dipenda dalla statura, in un paese di piccoletti, dall'aspetto atletico perché ho fatto molto sport, dal modo di camminare diritto, che sembra tracotanza, e poi dal fatto che, raggiunta una certa tranquillità nella carriera, mi sono concesso il lusso di dire la verità a tutti i costi.

Perché lei si definisce anche un po’ puttana?
Per sua natura l’attore è proprio un misto tra una puttana e un sacerdote perché il suo materiale è anche la ganga bruta dell’esistenza, però le sue radici affondano, se pur molto alla lontana, in un terreno che è di natura rituale e religiosa. 
Ma per piacere alla gente, per il successo, si accantonano i rigori intellettuali, e il lato sacerdotale dell’interprete si confonde con quello puttanesco.

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