martedì 5 settembre 2017

Ricordando Arnoldo Foà

Ecco le tre domande che abbiamo scelto tra le tante che sono state rivolte ad Arnoldo Foà, indimenticato attore di teatro venuto a mancare nel 2014. Dalle sue risposte si capisce molto di lui del suo amore verso il teatro e del suo essere consapevole di quanto umano sia questo mondo.



Cos’è il mestiere del teatro per te?
Per me il mestiere del teatro è quanto non viene comunemente chiamato arte. Tutto ciò che riguarda il lavoro, la fatica del lavoro, è il mestiere. La preparazione, le prove, le posizioni che devi prendere in teatro, studiare la parte a memoria, perché quando ripeti la parte a memoria non la dici come la diresti in scena, la ripeti per ricordare le parole che vengono una dopo l’altra, poi la ripeterai con un senso o glielo dai d’istinto. Questo è il mestiere del teatro. Il lavoro della tua interpretazione intima del testo e del personaggio, questa è una parte di ragionamento, privata, che non fa parte del mestiere. Poi l’interpretazione può diventare arte in un secondo tempo, quando ti esprimi di fronte al pubblico. Ricordo a questo proposito la mia prima battuta in un teatro ufficiale, nella mia prima recita con Anton Giulio Bragaglia, molto difficile e complessa: avevo così paura di dire quella battuta così ricca che la dicevo con una velocità favolosa, tanto che Bragaglia mi disse: «Bene ma non correre, perché altrimenti non si capisce più niente». Io col mestiere l’avevo detta bene, ma col non mestiere, con l’interpretazione, l’avevo detta male perché troppo veloce. Questa è la differenza tra mestiere e arte.

Sostieni che l’attore ha una funzione culturale cui non deve rinunciare; esiste ancora questa funzione, è cambiata nel tempo?

La funzione culturale dell’attore esiste sempre, ancora oggi, non credo sia cambiata nel tempo ma certamente ognuno cerca di svolgerla a modo suo. L’attore ha una funzione culturale perché oltretutto gli viene richiesta: significa proporre, far conoscere i testi, classici o contemporanei, o scrivere emettere in scena novità, come ho fatto anche io. Non tutti gli spettacoli sono cultura, e non conta la classifica «comico o drammatico»: il teatro comico di Molière può essere più cultura di un dramma di Shakespeare, se quest’ultimo è rappresentato da una compagnia di guitti, e la commedia di Molière da bravi attori guidati da un bravo regista. Di cultura parla molto la compagnia al momento della scelta del repertorio; ma quando le direttive sono in base alle velleità di registi o attori impreparati o presuntuosi, diventa una parola priva di senso.

Facili Cassandre evocano da sempre la morte del Teatro... come immagini il futuro del Teatro?
Io ho sempre considerato il teatro un moribondo che non muore mai, perché abbiamo bisogno del teatro, per conoscerci, o riconoscerci; e nonostante il totale disinteresse delle istituzioni per il teatro, ho fiducia in molti ragazzi che hanno ancora quella passione e quell'amore che ha spinto me e tanti altri colleghi della mia generazione a lavorare, lo vedo soprattutto in piccoli teatri, in piccole realtà.

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